giovedì 6 dicembre 2012

Nuove misure di sostegno e investimento sul futuro



Si è in particolare affrontato il tema delle monete complementari come forma di supporto alla liquidità e trasferibilità dei crediti con funzione anticiclica.

Interessanti soprattutto gli interventi di Massimo Amato e Luca Fantacci, dell'Università Bocconi di Milano (fatto da sottolineare, e per l'importanza dell'università e per l'impostazione delle loro proposte, che qualcuno definirebbe poco 'bocconiane'), che stanno progettando una moneta complementare per la città di Nantes.

Non mi dilungo, potete leggere una breve descrizione qui, dal blog curato dagli stessi Amato e Fantacci su Linkiesta..
Il modello della "camera di compensazione" che Amato e Fantacci propongono per Nantes si rifà esplicitamente alle proposte della International Clearing Union e del Bancor fatte da Keynes a Bretton Woods (si veda in proposito il volume, a cura e con interessante introduzione dello stesso Fantacci: J.M. Keynes, Eutopia. Proposte per una moneta internazionale, et. al. Edizioni, Milano 2011).

Insomma, sarà una fissa, ma John Maynard Keynes torna sempre buono, specie quando ci si trovi nella necessità di trovare soluzioni a una crisi colossale come quella che stiamo vivendo.

Tra le proposte di Amato e Fantacci, quella che soprattutto può direttamente interessare a noi è l'idea di finanziare il terzo settore, comprese le attività culturali, con una percentuale stessa dei crediti non utilizzati nella camera di compensazione che si sta progettando per la città di Nantes. Pare che le stesse autorità locali siano molto interessate a questa opportunità. 

Personalmente rimarrei comunque dell'idea di esplorare le possibilità del credito di imposta trasferibile, anche se capisco che la proposta delle monete complementari risulti, anche per ragioni politiche, relativamente di più facile e immediata applicabilità. 

Comunque, morale di tutto: si tratta del riconoscimento del fatto che nel contesto in cui viviamo vi è un enorme problema di liquidità della moneta (di vera e propria "trappola della liquidità, dovuta proprio a come è stato costruito l'euro" ha parlato Massimo Amato nel convegno milanese). 
Insomma, il 'contante' circola sempre meno per tante ragioni, non ultima la necessità dello Stato di reperire sempre più fondi attraverso il sistema fiscale.

In un contesto di questo tipo, ci chiediamo qui, è realistico pensare che il sistema di finanziamento pubblico allo spettacolo possa ancora continuare a lungo sotto forma di elargizioni in contanti? Le stesse amministrazioni locali, e tra queste la Regione Lombardia che ha voluto questo convegno, sembrano aver acquisito la consapevolezza della necessità di trovare forme di sostegno pubblico alternative alla attuale prassi dei trasferimenti finanziari.

L’unica via di uscita possibile, ci pare, potrebbe essere quella di finanziare la spesa per la cultura con gli incentivi fiscali.

Ce ne vogliamo occupare oppure vogliamo lasciare che le cose seguano inesorabilmente la strada su cui sono avviate? Perché quella strada, piaccia o no, è la privatizzazione totale. E' la via neo-liberista al welfare state (immaginatevi con quali risultati per il welfare).

Non so se è chiara la situazione: ai vertici del governo del nostro Paese c'è chi ha già più volte accennato anche alla privatizzazione del trasporto pubblico... (vi ricordate Paolo Grassi? Il teatro da considerare servizio pubblico come la metropolitana e i vigili del fuoco. Se oggi viene messo in discussione proprio quel termine di paragone stiamo a posto con l'idea di teatro come servizio pubblico, no?)

Qualcuno potrebbe anche portare ottime argomentazioni a sostegno di questa ipotesi.

Ma se noi consideriamo ancora valida l'idea di teatro come pubblico servizio, non possiamo non evidenziare che il privato, quando investe, lo fa in un'ottica necessariamente di breve o al massimo medio periodo (e non potrebbe fare altrimenti, ci mancherebbe); insomma, il privato non può permettersi di investire nel lungo periodo (intendo con uno sguardo ai prossimi cinquant'anni); solo uno Stato può essere nelle condizioni di fare reali investimenti sul futuro, magari (auspichiamo qui) uno Stato che abbia la consapevolezza che il più importante investimento per il futuro non è tanto quello che può essere fatto oggi sul tessuto produttivo, bensì è quello che ha a che fare con il sistema di istruzione e di educazione dei cittadini (ivi compreso il teatro), puntando con tali investimenti a formare cittadini che in quel futuro (tra cinquant'anni) possano avere le conoscenze e le competenze che in quel momento serviranno per produrre (certamente anche nel campo dell'arte, e del teatro) tutto ciò che in quel momento ci servirà, ci sarà utile, riterremo importante (sia a livello materiale sia a livello spirituale).  

Le logiche che sono sottese oggi al governo del teatro italiano, l'ho già scritto, guardano quasi esclusivamente al passato. Il passato è ovviamente fondamentale, tanto che vi sono senz'altro enti che specie in virtù del loro ruolo storico, a partire dalle funzioni determinanti svolte dal punto di vista artistico, a partire dal superamento dei condizionamenti storici che costringevano a una posizione di retroguardia il nostro sistema teatrale, dovranno continuare a godere, anche più di quanto accade oggi, di consistenti contributi economici da parte della collettività.

Ma quel che manca davvero è una idea di investimento sul futuro. Come già scritto qui (punto 3), il sistema teatrale italiano non potrà che continuare a trovarsi in una situazione di stallo finché persisteranno le attuali logiche di gestione del Fondo Unico dello Spettacolo, che guardano nei fatti sempre e solo al passato.