martedì 1 ottobre 2013

Certificati di Credito Fiscale

In molti mi hanno chiesto di approfondire la questione del Credito di Imposta Trasferibile.

Prima o poi proverò a farlo, e per farlo seriamente dovrò chiedere il contributo di qualche autorevole economista.

Intanto, però, vi segnalo una idea sostanzialmente identica (a parte la scadenza a due anni anziché uno) di Marco Cattaneo, pubblicata quasi un anno fa anche sul Sole24ore.

Si tratta dei Certificati di Credito Fiscale.

(Segno che qui non siamo gli unici "matterelli" che propongono diavolerie irrealizzabili).

lunedì 2 settembre 2013

Decreto Cultura

Per chi se lo fosse perso, il 10 agosto è entrato in vigore il decreto legge 8 agosto 2013 Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivita' culturali e del turismo.


Oltre a sanare alcuni aspetti deleteri della spending review, non si vedono grandi segni di passi avanti.
Sì, un po' di tax credit qua e là, qualche vaga risorsa per ristrutturare le posizioni debitorie delle fondazioni liriche.

Sanza infamia e sanza lodo, verrebbe da dire.

Rimane il fatto che le logiche di austerità cui ci costringono dall'esterno (e cui ci auto-costringiamo col fiscal compact) obbligano a trovare le risorse necessarie a sostenere queste poche cose con nuove tasse (su alcolici, tabacchi ecc., insomma i piaceri del diavolo...).

Viene mantenuta invece (mirabile dictu!) l'esenzione dell'imposta di bollo per le istanze da presentare al Ministero (art. 9, comma 6).

Mica gratis però, bensì con un altro immediato taglietto al FUS di 216.000 euro (art. 9, comma 7):


Alla   copertura    finanziaria    degli    oneri    derivanti
dall'applicazione del comma  6  pari  ad  euro  216.000  a  decorrere
dall'anno 2014 si provvede mediante  corrispondente  riduzione  dello
stanziamento annuale  previsto  a  favore  del  Fondo  unico  per  lo
spettacolo ai sensi della legge 30 aprile 1985, n. 163, e  successive
modificazioni.  Il  Ministro  dell'economia  e   delle   finanze   e'
autorizzato  a  effettuare,  con  appositi   decreti,   le   relative
variazioni di bilancio.
 
INSOMMA, SI CAPISCE O NON SI CAPISCE CHE (DIREBBERO I MIEI AMICI DE ROMA)

CE STANNO A COJONA'?

martedì 11 giugno 2013

Mater Artium Necessitas
(nella speranza che certe soluzioni non servano solo a 'tirare a campare')




È noto che gli enti locali, anche e soprattuto a causa della crisi finanziaria, abbiano subito ingenti tagli ai propri bilanci. 
Non pare probabile, nemmeno nel medio periodo, un miglioramento della situazione, tenuto conto che sarà necessario (salvo ridefinizioni delle politiche europee) continuare anche nel prossimo futuro l’opera di riduzione della spesa pubblica sia al fine di rispettare la norma del pareggio di bilancio (inserita in Costituzione) sia per la necessità di ridurre il rapporto debito/pil al 60%, secondo i parametri di Maastricht (così come stabilito dal trattato sulla stabilità europea, cosiddetto Fiscal Compact).

Per molteplici ragioni, le politiche di austerity rischiano di compromettere irrimediabilmente il sostegno alla cultura, già gravemente sottodimensionate nel nostro Paese.
Il teatro, in particolare, pare destinato a soccombere proprio a causa dell’assottigliarsi delle risorse a disposizione delle amministrazioni locali.
Andrà ricordato che, storicamente, per molteplici ragioni, sin dai tempi della Unificazione lo Stato unitario ha di fatto delegato ai poteri locali la gestione delle risorse genericamente destinate alla cultura.
Il teatro, soprattutto, considerato dallo Stato liberale italiano del secondo Ottocento come interesse particolare, veniva quasi totalmente affidato alle municipalità. È in questo periodo, infatti, che si assiste all’acquisto e alla costruzione di molti teatri da parte dei comuni italiani, sia nelle grandi città sia nei borghi medio-piccoli[1].
Lo Stato autoritario e poi democratico tentarono di definire un processo di razionalizzazione del sistema teatrale italiano. Ma le logiche del localismo rimasero stringenti, tanto che  anche gli stessi Enti Lirici, e in seguito i Teatri Stabili ad iniziativa pubblica, furono anzitutto teatri municipali (e tali, nella loro sostanza, rimangono).
Per questi motivi, quanto più i tagli alle finanze pubbliche andranno a penalizzare le amministrazioni locali, tanto più le attività culturali, e soprattutto teatrali, rischieranno di trovarsi in sofferenza o soccombere del tutto (come in certi casi già accaduto).
Il venir meno della garanzia di risorse finanziarie sotto forma di trasferimenti mette a serio rischio la stabilità finanziaria dei teatri, specie nei casi essi siano sostenuti esclusivamente dagli enti locali.

In certe realtà urbane, specie di piccole e medie dimensioni, il teatro cittadino, se messo nelle condizioni di ben operare, può diventare non solo il catalizzatore della intera cultura cittadina ma uno strumento efficace per tener viva una identità e unità civica, una communitas che rischia di essere messa seriamente in discussione proprio in questi periodi di grave crisi.

Ma è necessario compiere delle scelte: o attardarsi, continuando con le tradizionali formule di sostegno pubblico, che lo stesso MIBAC sta seriamente mettendo in discussione[2], assumendosi il rischio di un fallimento finanziario dei teatri, o trovare altre soluzioni che rendano effettivamente possibile la preservazione del teatro come servizio pubblico, come luogo che sia accessibile alla collettività.

È indubbio che, in un contesto di questo tipo, vi sia la necessità di trovare forme di sostegno pubblico al teatro che possano essere alternative alla prassi sino a ora preponderante dei trasferimenti finanziari (sempre più a rischio e sempre più incerti).

Una soluzione che può risultare efficace (in diversi casi già adottata) per creare nell’immediato le condizioni per una maggiore autonomia e stabilità finanziaria, laddove la legge lo consenta (per esempio fondazioni i cui soci fondatori siano enti pubblici), può essere, per esempio, il conferimento di immobili di proprietà comunale (in genere l’edificio teatrale stesso e le sue pertinenze). 
Una attenta gestione di tale patrimonio immobiliare, oltre ad avere risvolti fondamentali per l'accesso al credito bancario, consentirebbe tra l’altro alle fondazioni di poter mettere a bilancio i profitti derivanti, per esempio, dallo sfruttamento commerciale di tali immobili, con conseguente minore necessità di intervento finanziario da parte del comune.

La speranza è che soluzioni di questo tipo non servano solo a tirare a campare.

Le amministrazioni, oltre ad avere un risparmio netto in termini di trasferimenti finanziari alle fondazioni teatrali, potrebbero avere infatti anche l’opportunità di poter concentrare il proprio intervento in ambito culturale (reinvestendo anche solo parte delle sempre più risicate risorse) sul versante della domanda più che sul versante dell’offerta di teatro.
È indubbio, infatti, che il teatro come servizio pubblico potrà continuare ad esistere solo a patto che i cittadini di oggi e, in futuro, le nuove generazioni lo considerino tale, dunque solo a patto che il suo specifico linguaggio, la sua differenza comunicativa, la sua forza critica mantengano un senso forte a livello collettivo.
Per questo, più che il sostegno alla produzione, il più importante investimento per il futuro, cui le amministrazioni pubbliche sono anzitutto chiamate, è quello che ha a che fare con il sistema di istruzione e di educazione dei cittadini (ivi compresa la cultura teatrale e l’educazione artistica in genere), a tutti i livelli, ma soprattutto nei luoghi deputati alla formazione delle nuove generazioni, in quelle che sono le ‘fabbriche del nuovo’. [3]
Le difficoltà che la crisi impone di affrontare potrebbero forse anche trasformarsi in una grande opportunità.





[1] S. Dalla Palma, La scena dei mutamenti, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 179.
[2] Si vedano le recenti dichiarazioni di Salvatore Nastasi, Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo del MIBAC. Cfr. «ateatro», 18 febbraio 2013, www.ateatro.org
[3] Cfr. R. Abirached, Le théâtre et le Prince. II. Un système fatigué 1993-2004, Actes Sud, Arles 2005, pp. 107-108.

lunedì 29 aprile 2013

Segnalazioni e appuntamenti


Che il blog sia letto da un po' di persone ovviamente lo sapevo.
Che se ne parli pubblicamente invece non è scontato.
E che soprattutto ne parli pubblicamente qualcuno che dirige o ha diretto un Teatro Stabile ad Iniziativa Pubblica pare proprio non sia così ovvio (così mi dicono).
Così ringrazio Giovanna Marinelli, che ha segnalato un mio contributo nella rivista Economia della Cultura (e su ateatro) e implicitamente citato anche questo blog riprendendo alcune questioni qui emerse.


Del mio lavoro su queste tematiche parlerò invece prossimamente:

il 7 maggio al Torino Fringe Festival;

il 15 giugno a Lucca, nell'ambito del corso di formazione Il teatro nella sala della comunità.



lunedì 25 febbraio 2013

Nastasi contro tutti, cosa c'è sotto?


Post veloce

In questi giorni mi è capitato di parlare con alcuni amici, che mi hanno ricordato come Salvatore Nastasi, Direttore Generale per spettacolo dal vivo del MIBAC, vada dicendo da qualche tempo che il sistema teatrale italiano ha bisogno di urgenti riforme strutturali, che così non si può continuare ecc. ecc.

Riporto, per rendere l'idea, quanto detto per esempio da Nastasi in occasione del convegno Le Buone Pratiche del teatro, tenutosi a Firenze il 9 febbraio scorso (su ateatro potete leggere il verbale completo):

Nastasi afferma di avere il dovere, come funzionario pubblico, di proporre delle modifiche. Racconta di essere diventato Direttore dello spettacolo nel 2004, a 31 anni, per una serie di casualità fortunate. Dopo nove anni di lavoro, prosegue Nastasi, è un dovere raccontare al Ministro che verrà cosa non è andato nel verso giusto in questi anni e che cosa si può cambiare. Ecco allora alcune verità che il Direttore si sente di segnalare: il sistema è completamente ingessato da regole che bloccano i finanziamenti. 
La situazione è quella di enti territoriali che tagliano progressivamente i loro contributi; lo Stato avrebbe dovuto in parte essere sostituito dagli enti locali, mentre quest’ultimi oggi si sottraggono e chiedono di essere sostituiti dallo Stato. Il sistema della stabilità – prosegue Nastasi – ha fallito: ci sono situazioni che rimangono invariate dal 1980 e questo, in un paese civile, non è possibile. I teatri stabili hanno gli stessi direttori da decenni, che propongono loro regie all’interno del loro teatro: ogni vincolo di esclusività in questo senso va modificato e va stabilito che il direttore di un ente non possa proporre regie all’interno del suo stesso stabile. 
Le quattro categorie di stabilità vanno eliminate, prosegue Nastasi: un teatro stabile percepisce soldi pubblici e non deve fare concorrenza, dunque deve avere obbligo di ospitalità. Uno Stabile deve arare il terreno vicino a casa, deve sostenere la formazione del pubblico. 
Nastasi racconta come, quando diventò direttore, il predecessore Carmelo Rocca lo mise in guardia dai meccanismi della triennalità, dicendo che difficilmente si può tenere fede a un programma triennale; ora Nastasi riconosce quella prospettiva come un errore. Il FUS si muove, è inevitabile che abbia delle oscillazioni in una legge finanziaria: ma nella prospettiva della triennalità ora si può e si deve lavorare. Quelli che si affacciano per la prima volta ad un contributo, si muoveranno in una prospettiva annuale; quelli che hanno una lunga storia nel percepire contributi saranno incanalati in un progetto triennale. 
Nastasi propone un’autocritica su altro aspetto: si è creduto erroneamente, spiega, che stringere i criteri di accesso al finanziamento avrebbe salvato il sistema, e invece l’ha rovinato. Se si fossero abbassati i criteri, si sarebbe ricevuto un maggior ricambio.
[...]
Oliviero Ponte di Pino procede con l’ultima domanda: a fronte di risorse sempre minori, si può procedere aprendo le porte ai giovani, alle nuove realtà e alle residenze senza però intaccare i fondi destinati a chi porta avanti bene il lavoro da anni? Le risorse bastano? 
Nastasi risponde partendo da un dato di fatto: il ministero stanzia 400 milioni di euro, di cui 310 a fondo perduto. Se il nuovo Ministero raddoppiasse i fondi, non ci sarebbero problemi: ma – sottolinea Nastasi – non è probabile che accada. Se la cifra rimanesse la stessa, Nastasi suggerisce di chiedere al nuovo Ministro tre cose precise: nuove regole per i finanziamenti; maggiore stabilità del FUS; una maggiore leva fiscale. Va abbassata l’IVA fino quasi ad azzerarla, va eliminata la gabella sui Vigili del Fuoco; occorrono esenzioni fiscali agli esercenti, ai proprietari delle sale, su certi contributi per i lavoratori. Nell’ambito del cinema, si offrono questi sgravi ai privati, ai finanziatori; ma nell’ambito del teatro non funzionerebbe. Si devono chiedere criteri più giusti e diversi; la leva fiscale per ridurre le spese fisse per chi si affaccia a questo ambito. Queste – e non certo chiedere un FUS a 800 milioni – sono richieste sostenibili.  


Ecco, gli amici mi hanno fatto notare che dovrei essere d'accordo con quanto propone Nastasi.
E, infatti, perché non dovrei esserlo, visto che vado scrivendo cose del genere dal 2009?

Sì, però, mi chiedono anche, perché ora Nastasi dice queste cose?
Che cosa c'è sotto? Dove vuole arrivare? Ci deve essere un doppio fine...

Per la miseria! Ma perché mai?

Ammetto che sono portato, un po' per natura e un po' per i casi della vita, a pensar male, perché spesso ci si azzecca, come pare dicesse qualcuno.
Ma stavolta, penso che ci sia poco da pensar male.
Penso semplicemente che Nastasi, da altissimo dirigente dello Stato italiano, abbia ben chiara la situazione, cioè sappia benissimo (come scritto nel post precedente) che la riduzione del FUS fatta quest'anno sarà la prima di una serie, e che saranno dolori nei prossimi anni.

Quello che Nastasi dice mi pare puro realismo: o si fa di necessità virtù, e lavoriamo da subito tutti insieme per rifondare su nuove basi il sistema, o verremo travolti senza scampo dalla necessità degli eventi.

(Tutto questo, ovviamente, salvo sorprese politiche dirompenti a livello europeo).







lunedì 11 febbraio 2013

Il taglietto del FUS


In questi giorni si sprecano le parole di sdegno e meraviglia per il taglio di 20 milioni al FUS.
Si sprecano anche gli appelli alle forze politiche:
e fate questo e fate quello, e reintegrate di qua, più soldi di là se no così non va.

Tutto molto bello, tutto molto condivisibile.

Sono davvero commoventi i dibattiti pubblici con politici ed esperti del settore, in cui ci si riunisce per discutere di buone pratiche, per avanzare proposte a chi ci governa, per RECLAMARE più risorse da destinare alla cultura.

Forse mi ripeto, ma è bene ribadirlo a chiare lettere:



NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE NON E' POSSIBILE 




NON E' POSSIBILE


Chiaro?

L'Italia ha ratificato il Fiscal Compact e messo in Costituzione il Pareggio di Bilancio. Lo ha fatto il Governo Monti, nel silenzio quasi generale di giornali e televisioni, quindi non ve ne siete manco accorti.

Che vuol dire? Come già scritto qui, si tratta di una follia economica, non a caso mai prevista da nessuna costituzione di nessuno Stato al mondo.
Pareggio di Bilancio vuol dire che se lo Stato spende 100 in un anno, deve anche incassare 100. Ma non basta, perché il Fiscal Compact obbliga anche a ridurre il rapporto debito/pil ai parametri di Maastricht (cioè 60%). Questo vuol dire che l'Italia, nella migliore delle ipotesi dovrà fare manovre di puri TAGLI per 50 miliardi di euro ogni anno per i prossimi 20 anni (insomma, ci aspetta un bel ventennio).
La spesa pubblica totale, stando ai dati per il 2011 pubblicati dal Fondo Monetario Internazionale nel World Economic Outlook, si attesta sugli 800 miliardi all'anno (per la precisione, 796 miliardi di euro per il 2011).
Se prestiamo fede alla campagna elettorale di tutte (o quasi) le forze in campo, in futuro non verranno aumentate le tasse (anzi tutti promettono di abbassarle).
Quindi da dove si recuperano i 50 miliardi all'anno, come minimo, imposti dal Fiscal Compact? Ma dalla spesa pubblica ovviamente. I conti non sono difficili, 50 miliardi su circa 800 totali vuol dire circa 16%.
La logica dei tagli lineari avrebbe determinato un taglio del FUS di circa 67 milioni di euro (16% di 420 milioni).

E' chiaro?

Con "solo" 20 milioni in meno è andata di lusso per quest'anno.

Poi, ovviamente, l'anno prossimo (se nulla cambia sul fronte occidentale), saremo qui ancora a piangere per l'ineluttabile taglio al FUS per il 2014.

Perché questo è il destino cui ci condanna il FISCAL COMPACT.

E l'Agenda Monti, non a caso, è costruita proprio su questo presupposto (e quando Monti dice che anche senza di lui i governi che verranno dovranno comunque seguire la sua agenda non vuol dire altro che questo: al Fiscal Compact che abbiamo ratificato e al pareggio di bilancio in Costituzione nessuno può sottrarsi... sarete tutti obbligati, nella sostanza, a fare quello che dico io nella mia agenda!)


QUANDO RIUSCIREMO A SENTIRE, IN QUALCHE DIBATTITO PUBBLICO DI TEATRANTI, CHE SONO LE POLITICHE DI AUSTERITA' IMPOSTE DALL'EUROPA CHE NON FUNZIONANO?



P.S. delle 20.52:
Mi rendo conto che il luogocomunismo domina anche qui ("ma dobbiamo ridurre il debito se no finiamo come l'Argentina, lo Zimbawe e bla bla bla. Il Debbbito è il nostro primo problema").
Ecco, allora beccatevi questo:

Cosa è?
E' un grafico che mostra la sostenibilità del debito pubblico a breve in EU. Se stai sotto la linea orizzontale nera sei sostenibile. Dove stava l'Italia per gli anni 2009-2012? (Italia è abbreviato IT...).

Ok, direte, ma per il lungo periodo?
Beccatevi quest'altro:



Cosa è? E' il grafico riassuntivo dei parametri di sostenibilità a lungo termine dei debiti pubblici dei paesi EU. Nella sostanza, sei messo molto bene se ti posizioni verso il basso a sinistra e, soprattutto, al di sotto della linea diagonale in neretto. Indovinate quale è l'unico Paese europeo in quella posizione? (Sì, IT, che sta sempre per Italia).

Importante: i due grafici sono presi dal Fiscal Sustainability Report 2012 di un gruppo di studiosi notoriamente bolscevichi: La COMMISSIONE EUROPEA.

MA ALLORA PERCHE' CI IMPONGONO TUTTO QUESTO? VE LO DEVO DIRE IO? POSSO ANCHE FARLO. MA VI BASTEREBBE LEGGERE, CON GRANDE ATTENZIONE E  DEDICANDOCI TUTTO IL TEMPO CHE CI VUOLE, QUANTO LINKATO NEL POST PRECEDENTE A QUESTO.







venerdì 18 gennaio 2013

Agenda Monti (una Scelta Cinica)

Sarà il clima da campagna elettorale e sarà che mi sono rotto del luogocomunismo del debito pubblico che è il problema dei problemi, ho deciso che come primo post dell'anno vi beccate un po' di roba pesante.

E in tema di pesantezza, oggi commentiamo la cosiddetta Agenda Monti (non tutta, quel che basta).


La strada per la crescita



La crescita non nasce dal debito pubblico. Finanze pubbliche sane, a tutti i livelli.
Con un debito pubblico che supera il 120% del PIL non si può seriamente pensare che la crescita si faccia creando altri debiti. Non è una questione di cieco rispetto di vincoli europei o sottomissione ai mercati. E’ la realtà, scomoda, dei numeri. Lo spread conta per le imprese e i lavoratori, perché finanziare il debito pubblico costa agli italiani €75 miliardi in interesse annuali, ovvero circa il 5% del PIL. Ridurre di 100 punti base il tasso di interesse che paghiamo sul debito, vale 20 miliardi di euro a regime. E da novembre 2011 il tasso di interesse è calato di oltre 250 punti. Si possono anche criticare obblighi europei, ed anche il governo le ha criticate, per certi aspetti, ma bisogna ricordare che esse sono oggi il test della credibilità della politica fiscale seguita dagli Stati che devono rientrare da un debito eccessivo. Bisogna rovesciare la prospettiva e prendere il quadro europeo come lo stimolo a cercare la crescita dove essa è veramente, nelle innovazioni, nella maggiore produttività, nella eliminazione di sprechi. La crescita si può costruire solo su finanze pubbliche sane.
Per questo il Paese dovrà continuare l’impegno per il risanamento dei conti pubblici in coerenza con gli obblighi europei in materia di disciplina delle finanze pubbliche, ed in particolare:
a. attuare in modo rigoroso a partire dal 2013 il principio (di cui al nuovo articolo 81 della nostra Costituzione) del pareggio di bilancio strutturale, cioè al netto degli effetti del ciclo economico sul bilancio stesso;
b. ridurre lo stock del debito pubblico a un ritmo sostenuto e sufficiente in relazione agli obiettivi concordati (tenuto conto del fatto che, realizzato il pareggio di bilancio e in presenza di un tasso anche modesto di crescita, l'obiettivo di riduzione dello stock del debito sarebbe già automaticamente rispettato);

c. ridurre a partire dal 2015, lo stock del debito pubblico in misura pari a un ventesimo ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del prodotto interno lordo;
d. proseguire le operazioni di valorizzazione/dismissione del patrimonio pubblico, in funzione della riduzione dello stock del debito pubblico


Solo i giornali italiani sono ancora quasi totalmente proni alla aberrazione economica dell'austerità che produce crescita. Una assurdità contro cui da anni si pronunciano economisti come Krugman, Stiglitz, Feldstein, Roubini, De Grauwe. Saranno populisti pure loro? 
Lo stesso Fondo Monetario Internazionale, qualche giorno fa, ha presentato uno studio in cui il suo capo economista Olivier Blanchard si copriva il capo di cenere ammettendo che il FMI si era sbagliato, che i tagli alla spesa pubblica e le austerità aggravano (e non solo nell'immediato, come vuole farci credere Mario Monti) la situazione economica complessiva.
Certo, non bastavano premi Nobel e le teorie economiche del più grande economista del XX secolo (sapete chi è, e se non lo sapete leggete un po' il blog), c'era bisogno di andare a sperimentare direttamente cosa succede al PIL se riduci la spesa pubblica più altre austere amenità. Possibile che l'Hidalgo della Sierra (copyright Alberto Bagnai, leggete qui se volete capire, ne vale la pena) non lo sapesse? A quanto pare sì, e ha portato il nostro rapporto debito/pil dal 120% al 126% in meno di un anno.
Ma niente, l'agenda Monti continua col disco rotto del debito pubblico, come se non avessero letto nemmeno questo report dei loro amici più cari, cioè la Commissione Europea. Che cosa dice, in estrema sintesi? Che la crisi dell'Eurozona non è dovuta ai debiti pubblici, ma agli squilibri di bilancia dei pagamenti, cioè al debito privato.
Se già avete letto i materiali linkati avrete capito. Io non ho le stellette da economista e mi sembra assurdo mettermi a rimasticare qui cose dette da altri, molti molti altri su tutto l'orbe terracqueo. 
Ma voi avete voglia di approfondire. Quindi se ancora non è chiaro potete leggere anzitutto questo saggio di Bagnai, questo di Cesaratto, tenendo conto che sono tra i pochi che in Italia hanno il coraggio di dire ciò che all'estero è quasi di dominio pubblico.
E poi leggetevi in toto, come già detto, il blog di Alberto Bagnai, dove trovate una marea di dati, oltre ad altre innumerevoli indicazioni di lettura.

Tra un po' di giorni, solo quando avrete letto, COME MINIMO, tutto quello indicato sopra, potrete leggere quanto segue.



















Bene, allora ci siamo.
Dato che ora vi sarà chiaro che:

1) Il pareggio di bilancio è una follia economica mai applicata nella storia delle democrazie moderne;

2) La riduzione della spesa pubblica finalizzata alla riduzione dello stock di debito è altamente deflattiva;

3) La dismissione del patrimonio pubblico (tra cui la partecipazione in aziende di importanza strategica, i cosiddetti 'gioielli di famiglia') non farà che aggravare la sostenibilità del debito pubblico stesso (seppur ridotto nel suo stock);

avrete capito anche che le premesse su cui è fondata la cosiddetta Agenda Monti sono a dir poco prive di fondamento macroeconomico. No, dico, vi rendete conto? A parte qualche neoclassico che non ne ha ancora azzeccata una, nessun economista al mondo con un po' di sale in testa si sogna di proporre cose del genere.

Ma a noi che interessa il teatro che ci frega di tutto ciò, direte voi?

Forse a voi non interessa, ma ai profeti del 'lasciamo il finanziamento pubblico combinato così come sta, con il sistema delle sovvenzioni in contanti così come sta', forse interesserà cominciare a intuire che cosa succederà in questo Paese che ha messo il pareggio di bilancio in costituzione e vuole ridurre massicciamente debito pubblico e spesa pubblica.
Cosa diranno, ma professore, ma il Teatro è un servizio pubblico, non si può tagliare lì, non si può privatizzare!!!
Immaginatevi la risposta.
Del resto, avrete notato lo spazio dedicato dall'Agenda Monti all'Italia della bellezza, dell'arte e del turismo,  quanta poca retorica, quali proposte concrete vi sono, a parte la flebile speranza che il privato si faccia carico di finanziare iniziative....

Il Teatro come servizio pubblico ha disperato bisogno di riforme, ma non ha bisogno delle riforme dell'Agenda Monti, che porteranno disperazione.

(Sì, avete capito bene, a ragion veduta non voterò per Monti e invito caldamente a non votarlo, finanche a 'votare contro', anche se si tratta di un dilemma forse irrisolvibile).



P.S. del 21 gennaio:
Come vi dicevo, sono cose, queste, che i giornali internazionali dicono quotidianamente.
Proprio ieri, il Financial Times (che non è propriamente il bollettino del Comintern) ha pubblicato questo editoriale: Monti is Not the Right Man to Lead Italy, oggi ripreso da tutti i principali giornali italiani (alcuni con un certo tono sorpreso).
Alla fine, la cosa che fa più male è l'assoluta evidenza di una alleanza post-elettorale tra Bersani e Monti. Davvero pare inconcepibile che il PD (che, per chi l'avesse dimenticato, dovrebbe essere un partito di centro-sinistra) possa anche solo pensare di allearsi con una destra ultraliberista e mercantilista (questo è la Lista Monti, non crederete alla favoletta del 'centro', vero?).
Si dirà, un'altra grande occasione persa, in nome di cosa, ancora dell'anti-berlusconismo? Si vede che vent'anni di batoste non hanno proprio insegnato nulla.