martedì 11 giugno 2013

Mater Artium Necessitas
(nella speranza che certe soluzioni non servano solo a 'tirare a campare')




È noto che gli enti locali, anche e soprattuto a causa della crisi finanziaria, abbiano subito ingenti tagli ai propri bilanci. 
Non pare probabile, nemmeno nel medio periodo, un miglioramento della situazione, tenuto conto che sarà necessario (salvo ridefinizioni delle politiche europee) continuare anche nel prossimo futuro l’opera di riduzione della spesa pubblica sia al fine di rispettare la norma del pareggio di bilancio (inserita in Costituzione) sia per la necessità di ridurre il rapporto debito/pil al 60%, secondo i parametri di Maastricht (così come stabilito dal trattato sulla stabilità europea, cosiddetto Fiscal Compact).

Per molteplici ragioni, le politiche di austerity rischiano di compromettere irrimediabilmente il sostegno alla cultura, già gravemente sottodimensionate nel nostro Paese.
Il teatro, in particolare, pare destinato a soccombere proprio a causa dell’assottigliarsi delle risorse a disposizione delle amministrazioni locali.
Andrà ricordato che, storicamente, per molteplici ragioni, sin dai tempi della Unificazione lo Stato unitario ha di fatto delegato ai poteri locali la gestione delle risorse genericamente destinate alla cultura.
Il teatro, soprattutto, considerato dallo Stato liberale italiano del secondo Ottocento come interesse particolare, veniva quasi totalmente affidato alle municipalità. È in questo periodo, infatti, che si assiste all’acquisto e alla costruzione di molti teatri da parte dei comuni italiani, sia nelle grandi città sia nei borghi medio-piccoli[1].
Lo Stato autoritario e poi democratico tentarono di definire un processo di razionalizzazione del sistema teatrale italiano. Ma le logiche del localismo rimasero stringenti, tanto che  anche gli stessi Enti Lirici, e in seguito i Teatri Stabili ad iniziativa pubblica, furono anzitutto teatri municipali (e tali, nella loro sostanza, rimangono).
Per questi motivi, quanto più i tagli alle finanze pubbliche andranno a penalizzare le amministrazioni locali, tanto più le attività culturali, e soprattutto teatrali, rischieranno di trovarsi in sofferenza o soccombere del tutto (come in certi casi già accaduto).
Il venir meno della garanzia di risorse finanziarie sotto forma di trasferimenti mette a serio rischio la stabilità finanziaria dei teatri, specie nei casi essi siano sostenuti esclusivamente dagli enti locali.

In certe realtà urbane, specie di piccole e medie dimensioni, il teatro cittadino, se messo nelle condizioni di ben operare, può diventare non solo il catalizzatore della intera cultura cittadina ma uno strumento efficace per tener viva una identità e unità civica, una communitas che rischia di essere messa seriamente in discussione proprio in questi periodi di grave crisi.

Ma è necessario compiere delle scelte: o attardarsi, continuando con le tradizionali formule di sostegno pubblico, che lo stesso MIBAC sta seriamente mettendo in discussione[2], assumendosi il rischio di un fallimento finanziario dei teatri, o trovare altre soluzioni che rendano effettivamente possibile la preservazione del teatro come servizio pubblico, come luogo che sia accessibile alla collettività.

È indubbio che, in un contesto di questo tipo, vi sia la necessità di trovare forme di sostegno pubblico al teatro che possano essere alternative alla prassi sino a ora preponderante dei trasferimenti finanziari (sempre più a rischio e sempre più incerti).

Una soluzione che può risultare efficace (in diversi casi già adottata) per creare nell’immediato le condizioni per una maggiore autonomia e stabilità finanziaria, laddove la legge lo consenta (per esempio fondazioni i cui soci fondatori siano enti pubblici), può essere, per esempio, il conferimento di immobili di proprietà comunale (in genere l’edificio teatrale stesso e le sue pertinenze). 
Una attenta gestione di tale patrimonio immobiliare, oltre ad avere risvolti fondamentali per l'accesso al credito bancario, consentirebbe tra l’altro alle fondazioni di poter mettere a bilancio i profitti derivanti, per esempio, dallo sfruttamento commerciale di tali immobili, con conseguente minore necessità di intervento finanziario da parte del comune.

La speranza è che soluzioni di questo tipo non servano solo a tirare a campare.

Le amministrazioni, oltre ad avere un risparmio netto in termini di trasferimenti finanziari alle fondazioni teatrali, potrebbero avere infatti anche l’opportunità di poter concentrare il proprio intervento in ambito culturale (reinvestendo anche solo parte delle sempre più risicate risorse) sul versante della domanda più che sul versante dell’offerta di teatro.
È indubbio, infatti, che il teatro come servizio pubblico potrà continuare ad esistere solo a patto che i cittadini di oggi e, in futuro, le nuove generazioni lo considerino tale, dunque solo a patto che il suo specifico linguaggio, la sua differenza comunicativa, la sua forza critica mantengano un senso forte a livello collettivo.
Per questo, più che il sostegno alla produzione, il più importante investimento per il futuro, cui le amministrazioni pubbliche sono anzitutto chiamate, è quello che ha a che fare con il sistema di istruzione e di educazione dei cittadini (ivi compresa la cultura teatrale e l’educazione artistica in genere), a tutti i livelli, ma soprattutto nei luoghi deputati alla formazione delle nuove generazioni, in quelle che sono le ‘fabbriche del nuovo’. [3]
Le difficoltà che la crisi impone di affrontare potrebbero forse anche trasformarsi in una grande opportunità.





[1] S. Dalla Palma, La scena dei mutamenti, Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 179.
[2] Si vedano le recenti dichiarazioni di Salvatore Nastasi, Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo del MIBAC. Cfr. «ateatro», 18 febbraio 2013, www.ateatro.org
[3] Cfr. R. Abirached, Le théâtre et le Prince. II. Un système fatigué 1993-2004, Actes Sud, Arles 2005, pp. 107-108.