È
noto che gli enti locali, anche e soprattuto a causa della crisi finanziaria, abbiano subito
ingenti tagli ai propri bilanci.
Non pare probabile, nemmeno nel medio periodo,
un miglioramento della situazione, tenuto conto che sarà necessario (salvo
ridefinizioni delle politiche europee) continuare anche nel prossimo futuro
l’opera di riduzione della spesa pubblica sia al fine di rispettare la norma del
pareggio di bilancio (inserita in Costituzione) sia per la necessità di ridurre
il rapporto debito/pil al 60%, secondo i parametri di Maastricht (così come
stabilito dal trattato sulla stabilità europea, cosiddetto Fiscal Compact).
Per
molteplici ragioni, le politiche di austerity
rischiano di compromettere irrimediabilmente il sostegno alla cultura, già
gravemente sottodimensionate nel nostro Paese.
Il
teatro, in particolare, pare destinato a soccombere proprio a causa
dell’assottigliarsi delle risorse a disposizione delle amministrazioni locali.
Andrà
ricordato che, storicamente, per molteplici ragioni, sin dai tempi della
Unificazione lo Stato unitario ha di fatto delegato ai poteri locali la
gestione delle risorse genericamente destinate alla cultura.
Il
teatro, soprattutto, considerato dallo Stato liberale italiano del secondo
Ottocento come interesse particolare,
veniva quasi totalmente affidato alle municipalità. È in questo periodo,
infatti, che si assiste all’acquisto e alla costruzione di molti teatri da
parte dei comuni italiani, sia nelle grandi città sia nei borghi medio-piccoli[1].
Lo
Stato autoritario e poi democratico tentarono di definire un processo di
razionalizzazione del sistema teatrale italiano. Ma le logiche del localismo
rimasero stringenti, tanto che anche gli
stessi Enti Lirici, e in seguito i Teatri Stabili ad iniziativa pubblica, furono
anzitutto teatri municipali (e tali,
nella loro sostanza, rimangono).
Per
questi motivi, quanto più i tagli alle finanze pubbliche andranno a penalizzare
le amministrazioni locali, tanto più le attività culturali, e soprattutto teatrali,
rischieranno di trovarsi in sofferenza o soccombere del tutto (come in certi
casi già accaduto).
Il
venir meno della garanzia di risorse finanziarie sotto forma di trasferimenti
mette a serio rischio la stabilità finanziaria dei teatri, specie nei casi essi
siano sostenuti esclusivamente dagli enti locali.
In
certe realtà urbane, specie di piccole e medie dimensioni, il teatro cittadino,
se messo nelle condizioni di ben operare, può diventare non solo il
catalizzatore della intera cultura cittadina ma uno strumento efficace per
tener viva una identità e unità civica, una communitas
che rischia di essere messa seriamente in discussione proprio in questi periodi
di grave crisi.
Ma è
necessario compiere delle scelte: o attardarsi, continuando con le tradizionali
formule di sostegno pubblico, che lo stesso MIBAC sta seriamente mettendo in
discussione[2],
assumendosi il rischio di un fallimento finanziario dei teatri, o trovare altre
soluzioni che rendano effettivamente possibile la preservazione del teatro come
servizio pubblico, come luogo che sia accessibile alla collettività.
È
indubbio che, in un contesto di questo tipo, vi sia la necessità di trovare
forme di sostegno pubblico al teatro che possano essere alternative alla prassi
sino a ora preponderante dei trasferimenti finanziari (sempre più a rischio e
sempre più incerti).
Una soluzione che può risultare efficace (in diversi casi già adottata) per creare nell’immediato le condizioni per una
maggiore autonomia e stabilità finanziaria, laddove la legge lo consenta (per
esempio fondazioni i cui soci fondatori siano enti pubblici), può essere, per esempio, il conferimento di immobili di proprietà comunale (in
genere l’edificio teatrale stesso e le sue pertinenze).
Una attenta gestione di
tale patrimonio immobiliare, oltre ad avere risvolti fondamentali per l'accesso al credito bancario, consentirebbe tra l’altro alle fondazioni di poter
mettere a bilancio i profitti derivanti, per esempio, dallo sfruttamento
commerciale di tali immobili, con
conseguente minore necessità di intervento finanziario da parte del comune.
Le
amministrazioni, oltre ad avere un risparmio netto in termini di trasferimenti
finanziari alle fondazioni teatrali, potrebbero avere infatti anche l’opportunità di poter
concentrare il proprio intervento in ambito culturale (reinvestendo anche solo
parte delle sempre più risicate risorse) sul versante della domanda
più che sul versante dell’offerta di teatro.
È
indubbio, infatti, che il teatro come servizio pubblico potrà continuare ad
esistere solo a patto che i cittadini di oggi e, in futuro, le nuove
generazioni lo considerino tale, dunque solo a patto che il suo specifico
linguaggio, la sua differenza
comunicativa, la sua forza critica mantengano un senso forte a livello
collettivo.
Per
questo, più che il sostegno alla produzione, il più importante investimento per
il futuro, cui le amministrazioni pubbliche sono anzitutto chiamate, è quello
che ha a che fare con il sistema di istruzione e di educazione dei cittadini
(ivi compresa la cultura teatrale e l’educazione artistica in genere), a tutti
i livelli, ma soprattutto nei luoghi deputati alla formazione delle nuove
generazioni, in quelle che sono le ‘fabbriche del nuovo’. [3]
Le
difficoltà che la crisi impone di affrontare potrebbero forse anche
trasformarsi in una grande opportunità.
[1] S.
Dalla Palma, La scena dei mutamenti,
Vita e Pensiero, Milano 2001, p. 179.
[2] Si
vedano le recenti dichiarazioni di Salvatore Nastasi, Direttore Generale dello
Spettacolo dal Vivo del MIBAC. Cfr. «ateatro», 18 febbraio 2013,
www.ateatro.org
[3] Cfr.
R. Abirached, Le théâtre et le Prince. II. Un système fatigué
1993-2004, Actes
Sud, Arles 2005, pp. 107-108.