venerdì 18 gennaio 2013

Agenda Monti (una Scelta Cinica)

Sarà il clima da campagna elettorale e sarà che mi sono rotto del luogocomunismo del debito pubblico che è il problema dei problemi, ho deciso che come primo post dell'anno vi beccate un po' di roba pesante.

E in tema di pesantezza, oggi commentiamo la cosiddetta Agenda Monti (non tutta, quel che basta).


La strada per la crescita



La crescita non nasce dal debito pubblico. Finanze pubbliche sane, a tutti i livelli.
Con un debito pubblico che supera il 120% del PIL non si può seriamente pensare che la crescita si faccia creando altri debiti. Non è una questione di cieco rispetto di vincoli europei o sottomissione ai mercati. E’ la realtà, scomoda, dei numeri. Lo spread conta per le imprese e i lavoratori, perché finanziare il debito pubblico costa agli italiani €75 miliardi in interesse annuali, ovvero circa il 5% del PIL. Ridurre di 100 punti base il tasso di interesse che paghiamo sul debito, vale 20 miliardi di euro a regime. E da novembre 2011 il tasso di interesse è calato di oltre 250 punti. Si possono anche criticare obblighi europei, ed anche il governo le ha criticate, per certi aspetti, ma bisogna ricordare che esse sono oggi il test della credibilità della politica fiscale seguita dagli Stati che devono rientrare da un debito eccessivo. Bisogna rovesciare la prospettiva e prendere il quadro europeo come lo stimolo a cercare la crescita dove essa è veramente, nelle innovazioni, nella maggiore produttività, nella eliminazione di sprechi. La crescita si può costruire solo su finanze pubbliche sane.
Per questo il Paese dovrà continuare l’impegno per il risanamento dei conti pubblici in coerenza con gli obblighi europei in materia di disciplina delle finanze pubbliche, ed in particolare:
a. attuare in modo rigoroso a partire dal 2013 il principio (di cui al nuovo articolo 81 della nostra Costituzione) del pareggio di bilancio strutturale, cioè al netto degli effetti del ciclo economico sul bilancio stesso;
b. ridurre lo stock del debito pubblico a un ritmo sostenuto e sufficiente in relazione agli obiettivi concordati (tenuto conto del fatto che, realizzato il pareggio di bilancio e in presenza di un tasso anche modesto di crescita, l'obiettivo di riduzione dello stock del debito sarebbe già automaticamente rispettato);

c. ridurre a partire dal 2015, lo stock del debito pubblico in misura pari a un ventesimo ogni anno, fino al raggiungimento dell’obiettivo del 60% del prodotto interno lordo;
d. proseguire le operazioni di valorizzazione/dismissione del patrimonio pubblico, in funzione della riduzione dello stock del debito pubblico


Solo i giornali italiani sono ancora quasi totalmente proni alla aberrazione economica dell'austerità che produce crescita. Una assurdità contro cui da anni si pronunciano economisti come Krugman, Stiglitz, Feldstein, Roubini, De Grauwe. Saranno populisti pure loro? 
Lo stesso Fondo Monetario Internazionale, qualche giorno fa, ha presentato uno studio in cui il suo capo economista Olivier Blanchard si copriva il capo di cenere ammettendo che il FMI si era sbagliato, che i tagli alla spesa pubblica e le austerità aggravano (e non solo nell'immediato, come vuole farci credere Mario Monti) la situazione economica complessiva.
Certo, non bastavano premi Nobel e le teorie economiche del più grande economista del XX secolo (sapete chi è, e se non lo sapete leggete un po' il blog), c'era bisogno di andare a sperimentare direttamente cosa succede al PIL se riduci la spesa pubblica più altre austere amenità. Possibile che l'Hidalgo della Sierra (copyright Alberto Bagnai, leggete qui se volete capire, ne vale la pena) non lo sapesse? A quanto pare sì, e ha portato il nostro rapporto debito/pil dal 120% al 126% in meno di un anno.
Ma niente, l'agenda Monti continua col disco rotto del debito pubblico, come se non avessero letto nemmeno questo report dei loro amici più cari, cioè la Commissione Europea. Che cosa dice, in estrema sintesi? Che la crisi dell'Eurozona non è dovuta ai debiti pubblici, ma agli squilibri di bilancia dei pagamenti, cioè al debito privato.
Se già avete letto i materiali linkati avrete capito. Io non ho le stellette da economista e mi sembra assurdo mettermi a rimasticare qui cose dette da altri, molti molti altri su tutto l'orbe terracqueo. 
Ma voi avete voglia di approfondire. Quindi se ancora non è chiaro potete leggere anzitutto questo saggio di Bagnai, questo di Cesaratto, tenendo conto che sono tra i pochi che in Italia hanno il coraggio di dire ciò che all'estero è quasi di dominio pubblico.
E poi leggetevi in toto, come già detto, il blog di Alberto Bagnai, dove trovate una marea di dati, oltre ad altre innumerevoli indicazioni di lettura.

Tra un po' di giorni, solo quando avrete letto, COME MINIMO, tutto quello indicato sopra, potrete leggere quanto segue.



















Bene, allora ci siamo.
Dato che ora vi sarà chiaro che:

1) Il pareggio di bilancio è una follia economica mai applicata nella storia delle democrazie moderne;

2) La riduzione della spesa pubblica finalizzata alla riduzione dello stock di debito è altamente deflattiva;

3) La dismissione del patrimonio pubblico (tra cui la partecipazione in aziende di importanza strategica, i cosiddetti 'gioielli di famiglia') non farà che aggravare la sostenibilità del debito pubblico stesso (seppur ridotto nel suo stock);

avrete capito anche che le premesse su cui è fondata la cosiddetta Agenda Monti sono a dir poco prive di fondamento macroeconomico. No, dico, vi rendete conto? A parte qualche neoclassico che non ne ha ancora azzeccata una, nessun economista al mondo con un po' di sale in testa si sogna di proporre cose del genere.

Ma a noi che interessa il teatro che ci frega di tutto ciò, direte voi?

Forse a voi non interessa, ma ai profeti del 'lasciamo il finanziamento pubblico combinato così come sta, con il sistema delle sovvenzioni in contanti così come sta', forse interesserà cominciare a intuire che cosa succederà in questo Paese che ha messo il pareggio di bilancio in costituzione e vuole ridurre massicciamente debito pubblico e spesa pubblica.
Cosa diranno, ma professore, ma il Teatro è un servizio pubblico, non si può tagliare lì, non si può privatizzare!!!
Immaginatevi la risposta.
Del resto, avrete notato lo spazio dedicato dall'Agenda Monti all'Italia della bellezza, dell'arte e del turismo,  quanta poca retorica, quali proposte concrete vi sono, a parte la flebile speranza che il privato si faccia carico di finanziare iniziative....

Il Teatro come servizio pubblico ha disperato bisogno di riforme, ma non ha bisogno delle riforme dell'Agenda Monti, che porteranno disperazione.

(Sì, avete capito bene, a ragion veduta non voterò per Monti e invito caldamente a non votarlo, finanche a 'votare contro', anche se si tratta di un dilemma forse irrisolvibile).



P.S. del 21 gennaio:
Come vi dicevo, sono cose, queste, che i giornali internazionali dicono quotidianamente.
Proprio ieri, il Financial Times (che non è propriamente il bollettino del Comintern) ha pubblicato questo editoriale: Monti is Not the Right Man to Lead Italy, oggi ripreso da tutti i principali giornali italiani (alcuni con un certo tono sorpreso).
Alla fine, la cosa che fa più male è l'assoluta evidenza di una alleanza post-elettorale tra Bersani e Monti. Davvero pare inconcepibile che il PD (che, per chi l'avesse dimenticato, dovrebbe essere un partito di centro-sinistra) possa anche solo pensare di allearsi con una destra ultraliberista e mercantilista (questo è la Lista Monti, non crederete alla favoletta del 'centro', vero?).
Si dirà, un'altra grande occasione persa, in nome di cosa, ancora dell'anti-berlusconismo? Si vede che vent'anni di batoste non hanno proprio insegnato nulla.  





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